La tradizione orientale nell’Inno Akathistos così recita:
- Si stupirono gli Angeli
per l’evento sublime
della tua Incarnazione divina:
ché il Dio inaccessibile a tutti
vedevano fatto accessibile, uomo,
dimorare fra noi
e da ognuno sentirsi acclamare:
Alleluia!
- Inneggiando al tuo parto
l’universo ti canta
qual tempio vivente, o Regina!
Ponendo in tuo grembo dimora
Chi tutto in sua mano contiene, il Signore,
tutta santa ti fece e gloriosa
e ci insegna a lodarti:Ave, o «tenda» del Verbo di Dio[1]…
«E Dio disse: Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque» (Gn 1,6).
Chissà se possiamo riportare questo passaggio della creazione alla “rottura delle acque” per il parto. La luce è già separata dalle tenebre, il grembo di Dio, pieno di amore, nell’aleggiare dello spirito sulle acque che contengono vita traboccante, si è aperto ed Egli ha pronunciato parole “creative”, fino all’ultima, nella quale tutto si ricapitola, il Verbo. Accolto, custodito, Luce data alla luce attraverso colei che «è un miracolo di grande bellezza. Il Creatore di tutto l’universo spese tutti i suoi colori per lei, volendo dimostrare tutta l’abilità della sua arte» [2]. Il creato nel quale adoriamo Dio e che riconosciamo generante vita, è un grembo corrotto dal peccato, che ha bisogno di essere rigenerato microchimericamente. Quelle acque non richiamano forse anche il battesimo? E in modo particolare il battesimo di Gesù, che in esso si qualifica come “nuova creazione” (Cfr. Gv 4,10 e 7, 37-38)? “Gesù sale dalle acque e porta con sé in alto tutto intero il cosmo. Vede scindersi e aprirsi i cieli, quei cieli che Adamo aveva chiuso per sé e per tutta la sua discendenza, quei cieli preclusi e sbarrati come il paradiso lo era per la spada fiammeggiante. E lo Spirito testimonia la divinità del Cristo: si presenta simbolicamente sopra Colui che gli è del tutto uguale”[3] Ed ecco che il Verbo, feto che diventerà creatura nuova e perfetta con la Risurrezione, entrando nelle città, nei villaggi, nelle case e nei cuori, entra per proseguire quello scambio che ripara e trasforma. Sicché, ogni luogo da Lui visitato può essere ritenuto “grembo gravido di vita”. L’ultimo di essi: il sepolcro, dove lo scambio definitivo tra cellule divine e umane, si consuma, lontano dagli sguardi imperfetti degli uomini.
In proposito, Bostio esorta il lettore della sua opera sul patronato mariano:
«Non allontanarti da una Madre e da una Sorella così buona. Il sangue nobile è prova della sua origine. Il fratello, di fronte all’inarrivabile dignità di Maria Regina, si vergogni di comportarsi indegnamente verso tale grande sorella. Anzi, con la somiglianza del modo di vivere offra un indizio di tale legame» [4].
Sangue nobile che ha cominciato a scorrere anche in noi quando Gesù, in corpo, sangue, anima e divinità, ha varcato le soglie della nostra dimora-grembo ed è iniziato un altro viaggio microscopico, un altro commercium che da allora ci trasforma impercettibilmente.
«Non si passi allora giorno, notte, viaggio ricerca, discussione, allegria, fatica, riposo senza un affettuoso ricordo per lei. Lei sia sempre alla soglia stessa della memoria. Dille spesso: Aprimi il tuo cuore, o sede della clemenza, sorella mia, amica mia, colomba mia, immacolata mia». (Ct 5,2)”[5].
Maria ha aperto cuore e grembo e continua a dirci di compiere ciò che Gesù ci suggerisce: ce lo ripete continuamente, favorendo lo scambio fino all’assorbimento totale delle nostre impurità e alla conclusione del nostro convertire e convenire, della nostra santità.
In questo legame scopriamo più facilmente la luce del generato eternamente [6].
È bello sfogliare le pagine degli antichi scritti carmelitani che trasudano affetto filiale per Maria e nei quali trabocca lo sforzo di trovare parole adeguate a lodare Colei che ha vissuto più pienamente il Mistero della salvezza: Colei che ci precede e ci accompagna nella consapevolezza di quanto Suo Figlio ha fatto e sta compiendo in noi con la nostra collaborazione. Ebbene, in essi leggiamo spesso il sacro timore di offendere Maria nel cercare di esprimerle gratitudine, perché l’anima può solo in parte conoscerla: solo Dio, che volle riservarla per Sé, può lodarla come conviene. Battista Spagnoli, detto il Mantovano († 1516) così si esprime:
«E così, quando ti contemplo incomparabile, speciale e divin esempio di Colui che ti formò senza peccato preparandoti come sua dimora, temo di non poter finire quanto ho iniziato lodandoti, perché per tante perfezioni, son sempre poco l’ammirazione e le ragioni. (…). È Dio il centro e tu, o Vergine Santa, il celestial cerchio che comunica la grazia santa, che si trova in te in pienezza e che cielo e terra ammirano»[7].
In questo celestial cerchio, candido e non offuscato da macchia[8] noi siamo predisposti a crescere nella capacità di incarnare il Verbo e portarlo con noi e fuori di noi. Tutto comincia con la volontà comunicativa di Dio che nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici. Ce lo ricorda Mosè nel suo faccia a faccia con Dio descritto nel libro dell’Esodo (Es 33,11), ma soprattutto Giovanni, che riporta le parole pronunciate da Gesù: «Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15, 14-15). E Lei: fate quello che Egli vi dirà (Gv 2,5). Ci conviene.
Dio si rivela e noi siamo chiamati ad obbedirgli integralmente, liberamente, a cercarlo nella Parola scritta per
«incontrare Gesù che parla. Che è, anzi, egli stesso, Parola vivente di Dio. La Parola è simbolo di Cristo, perché lo rende presente: è Lui che si intrattiene con noi. Perché Dio stesso che rivela non lascia la Parola, la Scrittura dopo averla comunicata, ma vi rimane a incontrare realmente l’uditore mosso dallo Spirito Santo a credere nel cuore e professare con la bocca che “Gesù è il Signore”; così a Lui presta l’obbedienza della fede […] Ascolta Israele…” è il punto di partenza per uscire da sé e invertire il cammino di Adamo».[9]
La nostra conversione.
Una Parola che è Persona, che ci chiede di uscire fuori di noi perché possa essere il nostro centro. Lo troveremo anche al centro del celestial cerchio.
«La Parola-Cristo è allo stesso tempo ospite e casa: dimora abitualmente nel cuore e nella bocca e si riversa in ogni attività. È casa nella quale il carmelitano abita giorno e notte (Rg n° 10)[10]. Manna che aveva in sé tutti i sapori prefigurava il Verbo in cui tutti i sapori sono nascosti»[11].
Sr M. Daniela del Buon Pastore, O.Carm.
[1] Inno cristologico/mariano Akathistos (V secolo) che la Chiesa ortodossa dedica alla Theotokos, Madre di Dio. È composto di 24 stanze che corrispondono alle 24 lettere dell’alfabeto greco: le stanze pari si concludono con l’Alleluia, le dispari con il saluto rivolto alla Vergine, Ave Sposa non sposata. Nelle prime 12, è presentata la Storia della salvezza, il mistero che si svela; nelle altre, quanto di esso la Chiesa comprende e proclama. Si canta “in piedi”, per onorare la Madre di Dio, Madre del Verbo, Parola vivente.
[2] Cfr. A. Bostio, «De Patronatu», in E. Boaga, Con Maria…, 83.
[3] Gregorio Nazianzeno, Discorso 39 per il Battesimo del Signore, 16, in PG 36,354 B
[4] Ibid., 84.
[5] Ibid.
[6] Pietro Padilla, «Discorso in lode della Sacratissima Vergine Nostra Signora», in E. Boaga, Con Maria…, 112.
[7] Ibid., 111- 112.
[8] Cfr. Battista Spagnoli, «La Partenice mariana», in E. Boaga, Con Maria…, 89 .
[9] Cfr. Carlo Cicconetti, Simboli carmelitani, 53-55.
[10] Cfr. Ibid., 56 .
[11] Cfr. Maria Maddalena de’ Pazzi, Rinnovamento della Chiesa, in Ead, Cantico per l’Amore non amato, 1223.