Come gradini di una scala: terra che sale al cielo, cielo che scende sulla terra. Un incontro, un abbraccio che avvolge e coinvolge. Un gaudio che accorda profondità e distanze. Carmelitani presso una fonte zampillante, cantano la loro lode a Dio, in comunione con tutta la Chiesa: di un tempo, di ogni tempo.
E un tempo, ci trovammo presso una fonte, lì dove il grande profeta Elia sostava in preghiera, consumava la sua vita nella difesa dell’unico Dio e nell’attesa della sua venuta. Un tempo, accogliendo il dono dello Spirito, abbiamo aperto una breccia nella roccia, una breccia nelle asprezze della vita, per gustare distillati di miele. Il miele della Parola di Dio meditata, il miele di una contemplazione che nasce da un’esperienza di incontro frequente con l’Amato. Seduti presso la fonte, ricordammo le meraviglie di Dio operate in quel luogo, cominciammo a sognare e desiderare di entrare sempre più nel mistero della vita. Passa il tempo e arrivati nel XIII secolo, distanti fisicamente dalla fonte i cui gorgoglii risuonavano come musica di una natura in festa perché creata e visitata dal suo Creatore, cercammo di riprodurre ovunque le melodie del cuore che cerca il Signore e lo cerca nella solitudine come nello stare insieme. Da piccoli sussurri al canto sacro di un rito gerosolimitano, ci lasciammo trasportare tra le pagine della storia di salvezza, storia sacra celebrata nelle diverse ore della giornata: in altri luoghi, dunque, un canto monodico, il canto gregoriano, esprimeva in unità di intenti, la gioia di esserci, la gioia di appartenere ad un Dio di infinita misericordia. Passa un altro secolo e l’accordo di voci per elevarci coralmente e con solennità al datore della Vita, si arricchì di polifonia: scuole di canto, musica strumentale e compositori, lasciarono traccia della loro ricerca e del loro servizio prima su antichi atti capitolari e registri, poi su spartiti. E poi ancora, attraversando diverse stagioni musicali, sviluppando particolari sfumature che ci appartengono, ci ritroviamo oggi a vivere le nostre celebrazioni liturgiche con rinnovata consapevolezza. Di cosa? È in evidenza l’insieme, diceva Seneca descrivendo il canto corale. “(…) Come infatti il musicista, con la cetra bene intonata, per mezzo di suoni gravi e acuti, abilmente combinati, crea un’armonia, così la Sapienza di Dio, tenendo nelle sue mani il mondo intero come una cetra, unì le cose dell’etere, armonizzò le singole parti con il tutto e creò con un cenno della sua volontà̀ un solo mondo e un solo ordine del mondo, una vera meraviglia di bellezza (…) L’uomo intero, spirito incarnato, corpo permeato totalmente dall’anima, celebra la liturgia non per stimolare un pensiero da volgere a Dio, ma per vivere una relazione con Dio (Cfr. R. Guardini, Formazione liturgica, 51) e farla vivere a coloro che sono chiamati a partecipare attivamente con molteplicità di intelligenze che si lasciano interpellare dalla Parola, dalla melodia, dalla bellezza, dal profumo, dalle emozioni, dalla disposizione di oggetti e arredi. Tutto può diventare veicolo di un messaggio unico. Il messaggio: io, Dio, ci sono, sono presente in mezzo a voi, vi parlo, vi amo, rimanete in me. Attraverso i secoli, noi carmelitani siamo venuti in contatto con la profonda ricchezza del nostro carisma e con l’importanza del nostro viaggio spirituale (Cfr. James Boyce, O. Carm, La spiritualità della liturgia carmelitana, C.I.C.S. Roma 2002, 67). Il nostro modo di celebrare l’incontro con Dio in una preghiera cantata e condivisa cerca di evocare i suoni della natura che con semplicità allargano il cuore, coinvolgono, conducono oltre rasserenando l’anima e il corpo. È uno stato di quiete contemplativa, frasi musicali che zampillano come una fonte. Un costante gorgoglìo, acqua che cerca purificazione uscendo con impeto da una falda stretta e illuminata dal sole, ricade e colma ciò che, impermeabile, la raccoglie. E poi trabocca dalla falda acquifera con naturalezza, raggiungendo i terreni aridi. Ritualità dell’esistere, che raccoglie storia e propositi, desideri e concrete attualizzazioni di sequela dello Sposo. LA persona al centro, persona fatta oggetto di un amore senza fine, persona a cui è resa dignità e che cerca di restituire a Dio gratitudine per la vita. Come giochi d’acqua, corse tra monti e colli, sguardi di cielo, studiamo il linguaggio della fede. La liturgia è vita: con Dio, con il prossimo. Non ornamento, ma ammirazione, stupore, ringraziamento, circolarità. Lo Sposo è con noi. Maria è con noi. Gesù ha annunciato il Regno attraverso gesti di rispetto, camminando con l’uomo, mangiando con lui, aprendo vie di dialogo tra diverse realtà, insegnando silenzio e raccoglimento, saggezza di vita, ricerca attenta delle “cose di Dio”, lettura della nostra interiorità, la bellezza del perdono ricevuto e donato, l’arte di guarire accogliendo la propria e altrui sofferenza. Da sempre la devozione a Maria ha costituito parte importante della nostra espressione liturgica: un culto che in trasparenza rendeva e rende tutt’oggi leggibile in modo particolare le capacità di ascolto e accoglienza di cui la Vergine è stata testimone. Capacità di unione con Dio, capacità di fede e maternamente generative. Profezia che è acqua zampillante dalla Fonte. Così Elia ha impresso un carattere di sete di Dio, di urgenza nel combattere compromessi. In questo tempo, guardiamo ancora la Fonte con carattere eliano e mariano: come uno specchio in cui vedere l’amore del Verbo. Il Verbo in noi e noi in Lui: Verbo che riposa nel ventre di Maria come in una piacevole valle di purità, uscendo dalla quale compie tante operazioni mirabili e stupende da meravigliare e stupire gli angeli del cielo, per dare alla creatura un modello di ciò che anche lei deve fare. In quello specchio vedremo ancora l’amore sviscerato e infinito che ha voluto mostrarci nel SS.mo Sacramento, compendio dell’amore, perché ci possiamo unire sempre più a Lui. (Cfr. S. M. Maddalena de’Pazzi, Cantico per l’Amore non amato, Ed. Feeria, Comunità di S. Leolino, Panzano in Chianti 2016, 418-419). SS. Sacramento che, in un Natale quotidiano, chiede di occupare interamente l’uomo, perché egli sia tutto glorificato in Lui.
Sr M. Daniela del Buon Pastore