È il rumore del dolore: il dolore dei piccoli innocenti, travolti da una incomprensibile violenza. Il dolore dei loro genitori, protesi a proteggerli fino a dare la vita per loro, in modo diverso da come l’avrebbero donata giorno per giorno per un futuro migliore: ora è incerto più che mai. Il dolore degli anziani che singhiozzano, sballottati dalle correnti dell’odio che distrugge ogni cosa, incontrastabili con le loro povere forze. Tutto crolla in una terra ancora chiamata Santa. E in ogni angolo dove la terra santa del cuore, resa tale dal Dio con noi, è violata e vilipesa.
Figlio mio! Assalonne figlio mio, figlio mio Assalonne! Fossi morto io invece di te, Assalonne figlio mio, figlio mio! (2 Sam 19,1-2) È il grido disperato del re Davide che piange la morte del figlio Assalonne che pure aveva tentato di usurparne il trono e non avrebbe esitato ad ucciderlo. Un dolore quello di Davide, dolore di padre di cui hanno fatto esperienza uomini, donne, giovani e vecchi di ogni epoca e di ogni tempo. Dolore autentico, vero, non consolabile….come si può continuare a vivere quando il padre, la madre, il figlio, la figlia, un parente, l’amico, il vicino di casa perde la vita in modo drammatico e rimane il corpo, seppur rimane riconoscibile. Centinaia di corpi allineati, avvolti in teli bianchi, alcuni evidenziano macchie di sangue. Ma sono i corpi dei piccoli, dei bambini di tutte le guerre e di tutte le ingiustizie a lasciarci disarmati. Il dolore dei genitori si trasformerà in disperazione, in incubo, in odio, in desiderio di vendetta? Oppure il dolore lo si lascerà scavare dentro, dove tutto si rivolta con urla lancinanti, tombali? Lo si lascerà irrompere come un fiume in piena nei ricordi, nella memoria, in tutto il passato e il presente? Il futuro per ora non esiste senza coloro che non rivedremo su questa terra, e in chi è rimasto la vita si è spenta. Il dolore della perdita trafigge ogni parte del corpo, ogni arto, ogni punto vitale, il respiro, la mente, i movimenti. Come si può continuare a vivere dopo essersi staccati da quel lenzuolo bianco contenente un pezzo di noi? Come ci si può rialzare, riprendere a camminare, tornare a casa? I rumori della guerra sono assordanti, traumatici, violenti e impietosi. Ma il “rumore” del dolore è più forte di quello delle armi e delle bombe. Il “rumore” del dolore è profondissimo, è un linguaggio. Pur non aprendo bocca è parola feconda che si estende all’infinito e per questo, invisibilmente, costruisce e ricostruisce. È un “rumore” più potente dei palazzi che crollano e delle sirene che suonano l’allarme. È udibile non con l’udito, ma con i sentimenti della compassione. Il re Davide, spronato e forzato, nasconde il suo dolore di padre e si ripresenta come sovrano davanti al suo popolo. Superamento immane e sforzo terribile riprendere il quotidiano perché l’attraversamento del dolore è come una fiamma che brucia in modo cocente senza attenuarsi. Con il tempo la fiamma comincerà a bruciare dolcemente, ma è sempre presente, è una ferita aperta che però ricomincia a respirare. Il “rumore” del dolore è infinitamente superiore a quello di ogni cronaca nera le cui trame parlano dì assassinii e violenze efferate. Come ascoltarlo per non lasciarsi condizionare da coloro che operano iniquità? Come ascoltarlo per sfuggire dalle trappole delle ribellioni perenni con le conseguenti degenerazioni? Ascoltare se stessi, far scivolare le lacrime… e non rimarremo soli.
Sr Maria Joseph di Nazareth