Di cosa si tratta: è un processo che sembrerebbe già in corso e che punta alla realizzazione di mondi digitali all’interno dei quali potremo vivere parte della nostra vita. Attraverso la riproduzione digitale di noi stessi, potremo costruire nuove “relazioni sociali” in questo mondo virtuale “custodito”, che “permette l’impossibile”. Un mondo in cui gli Avatar, nostre proiezioni, daranno concerti, andranno a far spesa, giocheranno partite, faranno salotto, incontreranno persone altrimenti irraggiungibili, ecc. Potrebbe diventare un luogo virtuale per gestire l’insieme delle risorse che possono essere utili alla produzione: la terra, le materie prime, gli impianti e i macchinari industriali, il denaro di cui dispongono le persone, le imprese e lo Stato.
Per chi ha letto il romanzo Snow Crash sarà più facile intuire le possibili prospettive di questa fase “evolutiva”: Neal Stephenson, nel 1992, narrava un gemello digitale del mondo reale. Ma i più, probabilmente, conoscono soprattutto il recente film diretto da Steven Spielberg e ispirato dal romanzo di Ernest Cline, Ready Player One. Ci troviamo di fronte alla simulazione sensoriale immersiva ontologicamente antropocentrica, per descriverla con i termini del film. “La gente ha smesso di risolvere i problemi e si limita a tirare avanti” dice il protagonista: “di questi tempi la realtà è una fregatura, tutti cercano il modo per evadere…”. Così un posto dove andare senza andare da nessuna parte, esercita il suo fascino: un posto dove il limite della realtà è l’immaginazione umana, dove si può fare di tutto e andare ovunque, nel quale permanere per essere tutto quello che si può essere. Un posto dove conoscersi e fare amicizia. Un luogo dove si guadagna ma si può perdere tutto. Un posto che è la più importante risorsa economica del mondo, in cui, se si investe un capitale, non può vincere una persona qualunque. Naturalmente sarà necessaria un’entità neutrale che gestisca il metaverso. E occorrerà una grande capacità collaborativa. Ma tutto quello che la fantascienza propone come ideale, e la tecnica propone come processo percorribile per un futuro migliore, è davvero raggiungibile con una “fuga virtuale”? Un briciolo di passione in più per creare intanto relazioni tra noi, nella vita reale, non guasterebbe. In fondo, tutto quello che il metaverso offre, possiamo viverlo nella vita reale, se lo vogliamo: e saper vivere il limite, l’attesa, i fallimenti nella realtà è anch’esso processo per vivere un futuro migliore. Umanizzante.
Un saper essere qui e ora con gli altri con cui viviamo, gli altri che incontriamo per diverse ragioni e con i quali siamo chiamati a costruire qualcosa di profondamente umano e vero, non è facile, ma dai, con un po’ di pazienza si può!