Una vivibile fortezza

“Ho incontrato nella mia vita molte volte il dolore, non mi è stato possibile evitarlo. Le mie lacrime non lo hanno eliminato. Se lo avessi potuto, lo avrei fatto già da tempo. Allora ho deciso di lasciarmi avvolgere dal dolore, senza opporre resistenza. Mi capitò una cosa meravigliosa. Mentre lo assorbivo senza impazienza, ma lasciando scorrere il tempo nel dolore, esso mi educava a vivere, mi faceva più saggio. Infine se ne andava del tutto. È passato molto tempo da quando affrontai così il dolore. Ora sento ancora il dolore afferrarmi il corpo come in una morsa, ma lo guardo con occhi diversi. Da lontano, come si guarda una cosa con cui si ha familiarità. Di cui già si conosce in anticipo l’andamento. Anzi, non so proprio capire come mai, un tempo affrontassi il dolore con pianti e sospiri”. (Titus Brandsma, Sacerdote, Carmelitano, Martire)

Tempo fa riflettevo su come Dio, nella sua infinita creatività, avesse pensato per noi una vocazione: una modalità speciale per riparare le nostre ferite e abbracciare l’esperienza di Croce. Il cardine del cristianesimo è proprio lì, in una ferita aperta e rimarginata. Cosa desidera insegnarci Titus attraverso la sua esperienza? Forse che il piacere non è la prima cosa da cercare: noi sappiamo che l’apice del piacere è il Padre e nella relazione con Lui, vero piacere sono i fratelli. Le culture edoniste evitano il dolore e cercano il piacere, oggi come ieri, ed esercitano un’attrazione che allontana dalla realtà e avvicina o peggio immerge in una pericolosa illusione. Cristo ha abbracciato il dolore di portare la croce sul Calvario nel piacere di far nuove tutte le cose attraverso di esso. Anche il nostro dolore fa nuove tutte le cose se lo viviamo in Cristo.

Il vangelo è rivoluzione paradigmatica, di fronte alla quale siamo chiamati a comprendere i nostri paradigmi per lasciare spazio a quelli del Padre arrivati a me nel Figlio per mezzo dello Spirito. Cosa penso di una realtà? E Dio cosa ha detto della medesima? Per questo confronto devo aprire lo scrigno delle ferite e comprendere la gratuità dell’amore divino per me. Nell’esperienza di Titus verifichiamo quanto accade normalmente nella vita dei santi: la sofferenza aumenta, come aumentano consapevolezza e piacere. “Non servite Dio con molti sospiri: tenete il sorriso sul vostro volto e guardate la sofferenza in una luce più sublime. La luce in cui essa appare come un gesto d’amore di Dio per voi e un motivo di gioia. La gioia non è una virtù, ma l’effetto dell’amore con cui si sopporta il dolore.

“Dobbiamo uscire da noi stessi per appartenere a Dio, allora faremo esperienza del suo grande amore. Il frutto di questo grande amore, ci farà diventare persone di umanità, più mature, più responsabili, più capaci di stare nel mondo col cuore di Dio”. (Id.)

La pace cristiana è amplificazione della guerra interiore e dell’esperienza della croce. Conviene modificare i paradigmi per non allontanarsi dalla nostra più profonda identità. Sentire la fragilità è opportunità di attivare la ricerca del Padre, sperimentare godimento nel contatto col Padre. Se la rifiutiamo, precludiamo questa possibilità, nel rischio di un’autodistruzione. L’essere umano può imparare a riparare sé stesso e ad amare l’altro anche senza vangelo. Ma l’amore umano non è l’amore cristico di cui si è capaci per effetto della grazia. Le ferite possono trasformarsi in progetti, ma non se la società trasmette l’apice del narcisismo. La cristificazione non è inserimento di Cristo in noi, ma è modifica della struttura di noi stessi per ritrovarvi l’antica immagine e somiglianza (cf Gen 1,26-27) voluta e posta in essere dal Padre guardando al Figlio.

“Quando ti guardo, o Gesù, comprendo che tu mi ami, come il più caro degli amici, e sento di amarti come il mio bene supremo. Il tuo amore, lo so, richiede sofferenza e coraggio; ma la sofferenza è l’unica strada alla tua gloria. Se nuovi dolori si aggiungono nel mio cuore, li considero come un dolce dono; perché mi fanno più simile a te, perché mi uniscono a te.

Lasciatemi solo, in questo freddo: non ho più bisogno di nessuno, la solitudine non mi incute paura, perché tu sei vicino a me. Fermati Gesù non mi lasciare! La tua divina presenza rende facile e bella ogni cosa”. (Id. Preghiera scritta durante la prigionia a Sheveninghen, 1942).

 

Sr M.Daniela del Buon Pastore

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