Abbiamo iniziato il nostro cammino descrivendo la terra che desideriamo rendere sempre più fertile attraverso l’humus della Parola che ci è donata e vive in noi. Oggi osserviamo questo germoglio che è cresciuto, e lentamente trova la sua forma per comunicare la sua esperienza di vita, raggiungendo i quattro punti cardinali con luci, colori, profumi che gli appartengono. Speriamo non secchi mai! Osserviamo e impariamo dalla natura: verifichiamo la potenza evocativa, quanto segreto di Dio la natura svela. Osserviamo, ascoltiamo e… “mimiamo”: sì, perché no? La riconciliazione dell’uomo con sé stesso e con il cosmo, avviene attraverso diversi canali comunicanti tra loro.
“Dall’albero impariamo a radicarci, a formare un tronco, a ramificarci sempre più sottilmente, a far foglie, a bere luce e a nutrircene a far fiori e a lasciarli fecondare, a far frutti, a perder foglie e a resistere all’inverno, ad aspettare e quasi provocare il miracolo della Rinascita. Dalla pioggia, a raccogliere il vapore in gocce, cioè le sensazioni in sentimenti a far cadere nel loro senso queste condensazioni; a investirne e bagnarne la realtà conoscendola e vivificandola… Veste o natura o strumento secondo voglia. È anche una bella esercitazione poetica all’infinito” (Orazio Costa -Tav.13)
Mediante la più naturale gestualità, assecondiamo l’istinto primordiale di relazione con il mondo, con la società, con Dio: le radici, fondamento del nostro “albero”, assorbono acqua e sali minerali dal terreno in cui affondano. Stabile e alimentato, l’albero impara ad esprimersi nel suo spazio, nella ciclicità delle stagioni e percorre il suo “tragitto” dal livello cosmico e sociale a quello etico-spirituale, il mondo dei valori, Dio: dalla percezione empirica al senso della vita. (Cfr Carlo Cicconetti, Simboli carmelitani) Osserviamo un bambino che vive l’intimità di rapporto con la sua mamma: riceve nutrimento, forza per crescere, abbraccio che scalda e da’ sicurezza. Un legame profondo che richiama un luogo, un rapporto custodito. Osserviamo ancora la curiosità del bambino che gattonando, esplora il mondo che lo circonda: alza la testa e cerca sguardi da incrociare per entrare in relazione con le persone oltre che con le cose. E poi lotta, si sforza per reggersi sulle sue gambe e conquistare una posizione eretta: che gli consenta maggior autonomia, che sia slancio che permette di dominare la terra e al tempo stesso distaccarsene, proiettandosi al cielo. E ciò che più lo eleva, lo attrae. Il bimbo scopre l’altalena, immagina di volare, di raggiungere quelle nuvole che disegna quando si trova seduto al tavolino per creare qualcosa di bello che lo faccia star bene, in relazione con i sogni e la realtà. Vorrebbe toccarle quelle nuvole… I suoi primi passi sono incoraggiati dai sorrisi di chi, già maturo di anni, guarda ed esclama di gioia: così mani adulte spingono con energia l’altalena, quasi a voler accontentare i desideri di cielo più arditi che fanno nascere spontaneamente risate fanciullesche e genuine. Inizia la vera ricerca, che non è più esplorazione della materia, ma vero e proprio viaggio tra giorni e notti, sonno e veglia, stagioni calde e fredde, tempi forti e tempo ordinario, anche liturgicamente parlando. Osserviamo la nostra Comunità: come una figlia accolta dal grembo Materno, ha intrapreso il viaggio della vita, tra percorsi lineari e tempi di ciclicità. Sta imparando a stare in posizione eretta, con Maria sotto la croce: per essere “madre” accogliente, per guardare nella giusta direzione e ricevere forza nelle avversità. Sta imparando: in trent’anni di cammino, ha messo a fuoco la sua missione specifica, la radice di quella carezza di Dio che è stata riconosciuta come invito ad edificare qualcosa in un terreno in cui tutto può crescere rigoglioso e bello se curato con amore. Ha compreso che la fraternità non si oppone alla solitudine, che è invece condizione dell’autenticità e libertà della relazione, né alla ricerca incessante della relazione con Dio, la reciproca relazione con il centro vivente. Il costruttore è Gesù Cristo, senza il quale vana sarebbe la fatica. (Cfr Id.) Ha raccolto pioggia: le naturali intemperie, ma prima di tutto lacrime provenienti dal cielo chinato su questa terra inaridita.
All’ingresso del nostro monastero, i rami di un melograno in fiore, soavemente ondeggianti alle brezze che spesso allietano il nostro territorio, accolgono coloro che ci fanno visita e “parlano” dell’essenziale che amiamo e cui tendiamo: una meraviglia della natura, un inno alla bellezza che nasce da un suolo ferace e parla di fertilità. Ricordo dei frutti della terra promessa, ornamento, ma anche simbolo di relazione fedele e intensa. Il giardino in cui fioriscono melograni è il luogo in cui noi cerchiamo l’amato, il Signore, che ama far capolino tra i rami frondosi di questa stagione. Il 19 maggio abbiamo sfogliato insieme ad amici e compagni di viaggio vicini e lontani, le pagine di storia scritta a più mani. E abbiamo ripreso a scrivere sulle pagine bianche i nostri nomi, le esperienze che diventano testimonianze, la nostra gratitudine in risposta alla benedizione del Signore, la richiesta di perdono per quanto abbiamo sprecato o non apprezzato, per le orgogliose resistenze. E l’implorazione che a tanta splendida fioritura intorno a noi, corrisponda la fioritura interiore per la grazia ricevuta. Un augurio ebraico recita più o meno così: “I nostri meriti siano numerosi come i semi di melograno”. Allora… ad maiora!