Conferens in corde suo

Maria custodiva nel cuore ogni parola, meditandola: tutto quello che aveva necessità di lettura sapienziale, perché potesse essere accolto come dono divino e sprigionare lode e gratitudine. Noi siamo chiamati a percorrere la stessa via: per vivere eucaristicamente, per uscire dalla strettezza della propria vita e crescere nell’interno dell’ampiezza della vita di Cristo. Dio ha creato tutto ciò che esiste perché rifluisca in Lui secondo il piano dei suoi disegni e qual è il nostro scopo se non di unirci a Colui che è il bene supremo ed eterno, principio di ogni creatura? (Cfr Giovanni di S. Sansone O.Carm. De l’effusion, II, 752: Lettres, II, 676.663)

Foglie d’autunno incantano con caldi colori, poi sbiadiscono, si raggrinzano e richiamano tristezza per ciò che muore.  Il vento spoglia gli alberi che si presentano allo sguardo nella loro nudità: intrecci di rami di color bruno sembrano descrivere l’amore spogliato, eco di lontane voci carmelitane. Amore spogliato dei guerrieri d’amore che lasciano Dio libero di agire (Cfr. E. Boaga, Giovanni di S. Sansone in Id.-L. Borriello (dir.), Dizionario carmelitano, Città Nuova, Roma 2008, 441-442). Come quegli alberi, anche noi, raggiunti da venti di diversa intensità, ci sentiamo talvolta spogliati, per restare nella nostra nuda verità di creature fragili, predisposte così a lasciar spazio alla nuova vita che rivestirà di colore ciò che ora è esposto alle intemperie. Che storia è questa? Vita, morte e nuova vita, mistero pasquale che apre il cuore alla speranza. Tu, Signore, tu sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore. Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? (Is 63, 16 – 17) Mistero di libertà, mistero d’amore grande, insondabile. Eccomi, foglia strappata dal vento della paura, dalla rabbia, dai perché senza risposta. Comincio a dubitare di me, della vita, di Dio: e quel vento mi fa volteggiare talmente da non capire più dove sono e dove desidero andare. Mi sento morire, eppure la vita è prepotente in me, anche se esteriormente avvizzisco. Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti (Is 63, 19). Lo so che è così, qualcosa, lì in fondo al cuore, me lo dice, anzi me lo grida. Sta a me, solo a me accogliere quel grido in tutta la sua disarmante intensità. E so che il primo passo non sarà il mio, ma quello di un Dio che mi viene incontro e mi “predispone” al meglio: proprio come quell’albero spogliato che durante l’inverno si prepara a far sbocciare – al momento opportuno – primavera.

Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui (Is 64,3). Si, si, lo sento: ti sto a cuore! Ma… tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità. Guardo la mia zavorra, vedo quanto mi accade intorno, sento urla di guerra e grida di dolore. Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani (Is 63, 5-7). Mistero pasquale, morte e vita, vita e morte: un processo nel quale cresciamo, nel quale possiamo comprendere la santità di Dio e raggiungere la nostra con il suo paterno aiuto. E Lui, cosa fa? Manda suo Figlio, tutto per noi!

Mi fermo ad osservare il percorso di una foglia d’acero, sbiadita, fragilissima, con i suoi corrucciamenti: si ferma tra i rami di un melograno denudato. Una fragilità che accoglie un’altra fragilità. Sta lì, quella foglia: sembra riposarsi dal suo vorticoso volteggiare. Dio che si fa uomo, povero, “spogliato” anche Lui, piccolo, con un cuore che è una porta aperta sulla Trinità, Dio-Uomo pienamente solidale con ognuna delle sue creature, non si presenta forse allo stesso modo? Una nudità che accoglie. E anche noi possiamo rivederci in quella immagine di rami nudi che accolgono foglie vaganti. In Lui, sì, possiamo vederci capaci di questo. Un’immagine che richiama anche l’invito a vivere relazioni di reciproco aiuto, terra che si solleva da terra! Quanta di questa terra attende di sollevarsi, di essere fecondata da pace, giustizia, amore, verità. La “piccola porta”, il Verbo umanato entra in questo tormento per vie che non conosciamo. Conferens in corde suo: così ha vissuto Maria, cercando di unire con fede ciò che si frammentava nella logica umana.

Ed ecco che la nostra tradizione carmelitana ci invita a posare contemporaneamente lo sguardo su Gesù e su Maria, l’umana adoratrice di Betlemme, colei che nel silenzio della notte contempla il Salvatore dell’umanità (Emanuele Boaga, Gesù Bambino in Id. – L. Borriello (dir.) Dizionario. Carmelitano cit.,398). Nel silenzio delle notti, anche quelle senza stelle. Perché Signore stai lontano, nel tempo dell’angoscia ti nascondi? Il misero soccombe, muore innocente, cade sotto la violenza (Cfr. Sal 10, 22 – 23) Eppure tu vedi l’affanno e il dolore, tutto tu guardi e prendi nelle tue mani (Sal 10, 35). E anch’io mi perdo e sento venir meno la forza. Come potrò procedere nel mio cammino? Aprirmi a chi è nel bisogno? Tu assumi un corpo per salvare il corpo. Dai ricchezza e ti spogli: chiedi in elemosina la mia natura umana per renderla divina (Cfr. Gregorio Nazianzeno, Discorsi, martedì I sett. Avv. Ufficio delle letture). Si, tu me la chiedi ed io sono chiamata a consegnarla. Non sta a me stabilire modi e tempi. Ancora un richiamo da quei rami che sembrano quasi grembo che accoglie: l’umile Vergine, Madre di Dio che sotto la croce diventa Madre nostra, grembo sempre aperto per noi. E da quello sguardo confidente, contemplativo di Maria, i carmelitani riconoscono una fonte d’ispirazione per essere dinamicamente contemplativi guardando Dio e le sue meraviglie (Cfr. Id.) O donna piena e sovrabbondante di grazia, ogni creatura rinverdisce, inondata dal traboccare della tua pienezza. O vergine benedetta e più che benedetta, per la cui benedizione ogni creatura è benedetta dal suo Creatore e il Creatore è benedetto da ogni creatura (S. Anselmo, Discorsi, disc. 52, Ufficio delle letture 8 dicembre). Con questo atteggiamento dinamico, vivere l’infanzia spirituale con Gesù, come ricorda in tutta la sua vita anche S. Teresina, è un darsi completamente, senza alcuna restrizione. E non è la sola a descrivere questa preziosa dinamica. Per viverla docilmente, guardiamo alla beatissima Vergine che quando pronunziò il suo fiat, diede spazio al regno di Dio sulla terra: tutti coloro che lo riconobbero, entrarono nel regno di Dio. Chiunque appartenesse al Signore, portava in sé il suo regno del cielo: non gli venne tolto il suo bagaglio terreno, anzi, altri se ne aggiunsero ma, quanto aveva in sé era una forza alata che poteva rendere soave il giogo e leggero il peso. Così avviene anche oggi per ogni figlio di Dio. La vita divina, che venne accesa nell’anima, è proprio la luce che è venuta nelle tenebre, il miracolo della notte santa. Chi la porta in sé, lo comprende quando se ne parla. Ma per gli altri tutto quello che si dice è un balbettio incomprensibile. (Cfr Cristiana M. Dobner, Edith Stein, Mistero del Natale in E. Boaga – L. Borriello, (dir.) Dizionario Carmelitano, cit., 483). Forza alata di cuori in attesa.

Sr M. Daniela del Buon Pastore

 

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