Dalla selva oscura alla Pasqua eterna
Ombre e luci, corde e fili. E finalmente si vola!
I Tempi Liturgici della Chiesa scandiscono il tempo sacro della vita di ogni persona.
La Quaresima è quello spazio in cui aderire all’invito di Dio, per lasciargli la possibilità di plasmare in noi un “cuore nuovo ed uno spirito nuovo”. Compimento di questo percorso è la Pasqua di Cristo che si traduce nel nostro vivere già oggi, già su questa terra, da Risorti. È questa l’esperienza che fa Dante nella Divina Commedia, opera scritta dopo un viaggio umano e spirituale che sgorga da un dolore immenso: la morte dell’amata Beatrice. Che senso ha la vita? Perché la sofferenza? Dov’è Dio nei momenti di buio?
Dobbiamo riconoscere che molto spesso sono proprio i grandi dolori della vita che ci fanno rendere conto di trovarci in “una selva oscura” dalla quale non si esce confidando nelle sole proprie forze. Gli interrogativi più profondi del nostro essere affiorano? È un momento di Grazia in cui Dio scuote il nostro torpore e le nostre presunte certezze. Solo a partire da questa ricerca di senso è possibile scoprire i mille legacci che ci tengono stretti, le innumerevoli idolatrie che albergano nel nostro cuore. Lì incontriamo Dio che ci dà una mano e ci accompagna a capire che “poco importa che un uccello sia legato a un filo sottile o grosso; anche se sottile, finché sarà legato, è come se fosse grosso perché non consentirà di volare. È vero che è più facile spezzare il filo sottile… ma finché non lo spezza, non vola” (S. Giovanni della Croce, Salita al Monte Carmelo, cap. 11).
Il percorso quaresimale quindi, è un viaggio di Grazia che il Signore ci concede di intraprendere per guardare con coraggio i nostri scheletri nell’armadio, ossia, le nostre paure più profonde. Un’operazione drammatica, una battaglia che inizia con una decisione personale all’esclamazione “Misere di me”, come Dante condivide: qualcuno abbia compassione di me perché ho bisogno di aiuto, da solo non ce la faccio! È lì che ci accorgiamo di avere un Virgilio accanto che ci permetterà di capire che le realtà dell’inferno, del purgatorio e del paradiso, non riguardano solo l’aldilà ma riguardano l’aldiquà, riguardano il nostro cuore. Procedendo con Dante lungo il cammino, possiamo comprendere che l’inferno è il luogo della nostra durezza interiore in cui non c’è misericordia né per i nostri errori né per quelli altrui: ognuno resta inesorabilmente crocifisso al proprio peccato e noi siamo i giudici integerrimi di tutto e di tutti. Non possiamo restare indifferenti quando passiamo nell’inferno e guardiamo in faccia il dolore e le paure che ci attanagliano. Si apre allora lo spazio del purgatorio dove, pur riconoscendo il peccato, abbandoniamo il “mestiere” di giudice spietato e lasciamo spazio alla misericordia di Dio: è il tempo in cui il cuore di pietra inizia a trasformarsi in carne. Solo allora si possono aprire le porte del paradiso, la Pasqua di Risurrezione che è il desiderio che tutti siano salvati. Qui si scopre che il limite proprio e dell’altro lo si può ospitare nel proprio cuore e ci si può aprire a quella bellezza che prima non era possibile vedere e che risplende in noi e in tutti.
È lì che scopriamo che la sofferenza porta in sé sempre uno spazio pedagogico e che Dio, nel momento del nostro inferno, è sempre stato lì, accanto a noi, pronto a dare una mano per tirarci fuori dagli spazi più angusti e per far contemplare la forza, la bellezza e la potenza dell’“Amor che move il sole e l’altre stelle”.
Sr M. Eleonora dell’Amore Infinito, Sogliano