L’uomo è come un soffio, i suoi giorni come ombra che passa (Sal 144). Eppure, a quel tempo veloce e fragile, è affidata la scoperta del tesoro inestimabile dell’amicizia con Dio, della felicità eterna. In quel tempo, l’uomo, hebel, “vapore inconsistente”, che in altri passi della Scrittura si traduce con vanità e forse anche enigma, è messo nella condizione di scegliere liberamente la sua consistenza, di scegliere il bene di un’identità nella quale Dio si specchia. La consapevolezza della fragilità cresce nell’uomo che soffre precarietà, oppressione, malattia. Dio accoglie nel suo cuore l’hebel, questo soffio ai suoi occhi preziosissimo, che è oggetto della sua cura paterna e lo accompagna a libertà.
Alle luci dell’alba, nel silenzio di una giornata primaverile che inizia il suo corso, “ricamato” di cinguettii e lievi fruscii di rami popolati di gemme, ascolto il soffio del maestrale, maestro di navigazione, che aiuta il mio pensiero ad andare oltre… e proprio questo soffio che passa, mi fa misurare il tempo in modo diverso: per qualche istante resto sospesa tra cielo e terra, cercando di godere in spirito di gratitudine, il risveglio di questa nostra terra. Fluttuanti si fanno i pensieri come foglie in balia del vento: ecco, il soffio del maestrale li sospinge, abbraccia eventi improvvisi e drammatici, che spazzano via popolazioni e sogni, ma anche eventi dolorosi che si consumano lentamente, lasciando la sensazione di una vita che scivola via, nell’impotenza di poterla trattenere. Li abbraccia, li raccoglie, me li presenta. Sento il tempo breve e quel cinguettio non mi consola. Scivolo in ginocchio e mi torna in mente il cuore del salmista che grida al Signore sono curvo e accasciato, triste mi aggiro tutto il giorno… afflitto e sfinito all’estremo… Signore, davanti a te ogni mio desiderio (Sal 37). E quante altre grida di angoscia potrei ancora enumerare, non sempre affiancate dalla speranza nutrita dalla fede: quante grida, in questi nostri giorni, come foglie agitate dal vento, entrano vorticosamente nell’ombra della morte. Mi guardo intorno e la natura che si risveglia con tutta la sua bellezza, sembra sussurrare: “Dio non vuole forse la felicità dell’uomo? Cosa temi? Cosa ti turba in profondità?” La prima risposta interiore alla primavera che mi interpella, è che l’uomo si aggira triste per gli atri della sua casa, per le strade di campagna, per vicoli e strade di città, su imbarcazioni che solcano acque, perché su di lui si ammassano sventure e non sa farvi fronte. Penso ad “agenti esterni”, alle guerre, alle battaglie quotidiane, a omicidi e terremoti. Alla solitudine. Alla fatica di rialzarsi. Penso alla malattia, nella riduzione drastica dei confini spaziali e temporali che essa porta con sé: impotenza, limitazioni, fragilità, ridimensionamento di un quotidiano che non riesce ad “ospitare” progetti. Un corpo che rende prigionieri e mette in crisi l’identità. (Cfr. P. Bellavite, P. Musso, Riccardo Ortolani (a cura di), Il dolore e la medicina, S.E.F. 2005). Cosa fare quando arrivano torrenti impetuosi che portano lutto… La primavera sembra tradire ciò che promette. “Ricorda che ci plasmasti col soffio del tuo spirito” (Inno Lodi quaresima): il nostro cuore lacerato e smarrito, fragile come un vaso di creta, ostenta crepe: ma la primavera ha ragione, non tradisce, la forza della vita c’è ed è un dono continuo. Le crepe ci sono, si: Dio in esse fa scorrere l’oro della vita, dell’amore. Con esso ripara e rende più prezioso nella sua realtà fragile, ma solcata da venature d’oro, il cuore riparato: senza nascondere la rottura in frammenti, proprio come l’antica arte giapponese del kintsugi applicata al vasellame andato in frantumi. Ascolto ancora quel cinguettio che torna ad essere per me un canto di speranza, di una vita che continua rafforzata dalla prova e ancor più libera: mi sembra di volare con gli uccelli tra i righi di uno spartito come fossero rami frondosi di crome e semicrome. Sì, è vero: da ogni esperienza si può imparare a vivere la vita più intensamente. Non mancano testimoni gioiosi di questa realtà. Questo amore scorre in modo originale in ognuno. È vero che quell’oro scorre, riempie e rinsalda. Ma c’è anche altro che tiene curvo l’uomo. Alcune crepe nascoste, che non corrispondono ad una vita brulicante di meraviglie, di desideri ordinati ad un amore più grande, raccolgono polvere. Può un fiore non aprirsi perché non si fida del calore del sole? L’uomo invece… Uno specchio sporco non riflette distintamente la forma che gli si pone di fronte e l’intelletto, ottuso dalla sazietà, non accoglie la conoscenza di Dio. Una terra incolta genera spine e da una mente corrotta dalla gola germogliano cattivi pensieri… L’umido vapore del suffumigio profuma l’aria, come la preghiera del temperante delizia l’olfatto divino. (Cfr. Evagrio Pontico, Sentenze, gli otto spiriti della malvagità, Città Nuova, Roma 2010). Vapore inconsistente, vapore che può essere profumato di preghiera che sale a Dio, non senza aver raggiunto in modo diretto o misterioso, ogni fratello in cammino. Ecco, il desiderio disordinato e sregolato che altera la nostra visione della vita e anestetizza i guizzi più naturali, rende curvi e accasciati i nostri giorni. Se avrai pietà per il nemico esso ti sarà nemico, e se farai grazia alla passione essa ti si ribellerà contro (Ibid.). Quel maestrale continua a spirare, fa sentire i brividi che allertano alla prudenza. Fino alla radice di tutti i mali che nutre come maligni ramoscelli le rimanenti passioni e non permette che inaridiscano quelle fiorite da essa. Chi vuole recidere le passioni ne estirpi la radice (Ibid.) Avara e amara radice: curvo l’uomo. Cos’altro mi sussurri, maestrale, per aiutare la primavera ad entrare in me? Ti fai voce di un Dio misterioso e presente, che vuole amarmi fino alla fine, che vuole mettere pace nei miei confini. L’ira è una passione furente, imbestialisce l’anima e degrada l’intero consorzio umano. Un vento impetuoso non piegherà la torre e l’animosità non trascina via l’anima mansueta. La mansuetudine dell’uomo è ricordata da Dio e l’anima mite diviene il tempio dello Spirito Santo. Cristo reclina il capo in spirito mite e solo la mente pacifica diviene dimora della Santa Trinità (Ibid.). Cos’è allora quella tristezza che si trasforma in angoscia? Quell’abbattimento dell’anima, quando essa è chiamata ad essere tempio dello Spirito Santo? Chi è triste, non sa muovere la mente verso la contemplazione né sgorga da lui una preghiera pura: la tristezza è un impedimento per ogni bene. Avere i piedi legati è un impedimento per la corsa, così la tristezza è un ostacolo per la contemplazione… la luce del sole non raggiunge gli abissi marini e la visione della luce non rischiara un cuore rattristato; dolce è per tutti gli uomini il sorgere del sole, ma anche di questo si dispiace l’anima triste (Ibid.). Il vento del nord nutre i germogli e le tentazioni consolidano la fermezza dell’anima. La nube povera d’acqua è allontanata dal vento come la mente che non ha perseveranza… La rugiada primaverile accresce il frutto del campo e la parola spirituale esalta la fermezza dell’anima. Disponi per te stesso una giusta misura in ogni attività e non desistere prima di averla conclusa, e prega assennatamente e con forza e lo spirito dell’acedia fuggirà da te. La luce del sole che arriva radente alla finestra della cella, fa risplendere sottili fili di ragnatela che “legano” i rami gemmati. Fili di ragnatela che sembrano poter contenere il vento, lacci di vizio. L’edera s’avvinghia all’albero e, quando giunge in alto, ne dissecca la radice, così la vanagloria si origina dalle virtù e non si allontana finché non avrà reciso la loro forza… Come colui che sale su una tela di ragno precipita, così cade colui che si appoggia alle proprie capacità. Riconosci colui che dona e non ti inorgoglire tanto: sei creatura di Dio, non disprezzare perciò il creatore, o uomo superbo. Dio ti soccorre, non respingere il beneficatore. La vita può piegare e piagare, eppure la primavera torna e parla di risorse nascoste dall’inverno, che si schiudono alla luce del risorto. Il mio sguardo si posa su una piccola fontana: sullo specchio d’acqua in essa raccolta, un fiore stropicciato sembra muoversi come un pattinatore esperto su una lastra di ghiaccio. Stropicciato dalle intemperie, non ha perso la sua bellezza: la mano del Signore raccoglie e solleva, guarda ciò che splende di unicità. “Non tornerai tu forse a darci vita? Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: egli annunzia la pace” (Cfr. Sal 84). Lui che «si è caricato delle nostre sofferenze e si è addossato i nostri dolori» (Is 53,4). Prende su di sé: malattie, sofferenze, tutto ciò che può ferire da dentro e da fuori la nostra umanità. “Perdona i nostri errori, sana le nostre ferite, guidaci con la tua grazia alla vittoria pasquale” (Inno lodi quaresima). Perdona le nostre misure scarse. Ecco, la primavera ci parla del mistero della Pasqua, anticipato dalle guarigioni che Egli ha operato e opera ancora. L’uomo Dio può essere toccato e toccare. E guarire. Ecco, la primavera, la più bella stagione della vita: Come i raggi del sole, a primavera, fanno spuntare e schiudere le gemme sui rami degli alberi, così l’irradiazione che promana dalla Risurrezione di Cristo dà forza e significato ad ogni speranza umana, ad ogni attesa, desiderio, progetto. Per questo il cosmo intero oggi gioisce, coinvolto nella primavera dell’umanità, che si fa interprete del muto inno di lode del creato. L’alleluia pasquale, che risuona nella Chiesa pellegrina nel mondo, esprime l’esultanza silenziosa dell’universo, e soprattutto l’anelito di ogni anima umana sinceramente aperta a Dio, anzi, riconoscente per la sua infinita bontà, bellezza e verità. (Benedetto XVI, Messaggio Urbi et Orbi, 2011)
Sr M. Daniela del Buon Pastore