Il termine “icona”, che già significa somiglianza, conduce al prototipo e annuncia la sua presenza. Precisa S. Bulgàkov: “L’icona è una necessità essenziale per il culto, è un luogo di presenza della Grazia” ed è proprio il sipario su questa presenza che cerchiamo aprire quando sostiamo davanti a un’icona.
Entriamo a contatto con quanto abita il cuore, con ciò che abbiamo dentro, con quanto accade alla nostra interiorità quando incontra “l’Altro” e si apre all’altro. L’iconostasi delle chiese bizantine viene presentata come parete divisoria, ornata di icone, che separa la zona absidale del presbiterio dal resto della chiesa. Al contrario la tradizione liturgica bizantina ritiene che l’iconostasi non divide, non separa, ma unisce. Unisce il divino inaccessibile nella sua essenza, divenuto accessibile perché manifestato, come teofania. L’uno nell’altro. Un’interiorità dilatata. Tutto si sviluppa come “unità” di vita, di stile, di intenti che scaturiscono da una spiritualità che accomuna, che attrae verso un centro da cui ci si sente guardati e cercati, a cui ci si scopre attaccati come a un fulcro, a un motore della vita e che inevitabilmente ci rende più vicini e più simili di quanto pensiamo… ci rende amici.
A monte: un luogo “interiore”. Un’icona è come un testo a noi familiare, impresso nella memoria, una lunga citazione. Una realtà spirituale, dove spirituale è tutto ciò che nell’azione dello Spirito Santo parla di Dio, ne fa memoria, lo comunica, riconduce a lui.
Un’interiorità intelligente” capace di inter-ligere (leggere dentro) e di intus ligere (leggere oltre), di decifrare cioè la superficie visibile delle cose, lasciandovi avvenire il travaglio dell’Invisibile; non protesa a raccogliere esperienze ma intenta a custodire e comporre, al suo centro e con il suo centro, i frammenti sparsi del quotidiano vivere.
Il cammino: guardare un’icona è percorrere un passo a un ritmo riposato. Volere il bene dell’altro, nella capacità di realizzare quel prodigio di procedere ciascuno al proprio passo pur andando allo stesso ritmo. Non ci si schiaccia e non ci si riduce a stare uno davanti all’altro ma, lo sguardo si volge a un orizzonte che è insieme comune e liberamente visitato da ognuno.
“Perché dove andrai tu andrò anch’io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch’io e vi sarò sepolta. Il Signore mi punisca come vuole, se altra cosa che la morte mi separerà da te” (Rt 1,16-18)
L’icona è una sorta di compagno caro che apre gli oranti all’amicizia: «L’amico lascia scorrere la sua anima nell’anima dell’altro perché i due diventino uno […] Noi non comprendiamo – o meglio non realizziamo- che due spiriti uniti non sono giustapposti come due corpi ma veramente l’uno nell’altro. E questo è il principio di ogni unione di carità e in particolare di questa amicizia che ne è la forma più alta. Due amici fanno una cosa sola quando le loro intelligenze e i loro cuori si accordano nel culto della medesima verità e nell’amore dello stesso bene. Questa comunità – parola che significa “comune unità” e che è estremamente espressiva – espande la nostra vita, dilata il nostro essere con tutta la grandezza dell’essere e della vita di colui che amiamo». (Guillerand Augustin, Ecrits spirituels v.2 276-277).
Sr Miriam del Dio Vivente