Pietre consacrate

Ascolta il silenzio di queste prime ore della giornata. È ancora buio. Il sonno tutela gli abitanti di questo borgo. Campi nuovi, dissodati e coltivabili circondano un edificio sacro che si erge come un piccolo monte, sulla cui cima una croce sembra sostenere il cielo stellato. Oltre un pesante portale, la luce di due candele apre un varco nel buio che avvolge con calore e rispetto chi ha l’orecchio teso all’ascolto. Quasi d’improvviso, un canto di uccelli notturni infrange questa misteriosa barriera e libera respiri e sospiri profondi, come se i pensieri di Dio e di coloro che si riuniscono alla sua Presenza, volessero manifestarsi in suono. Il tempo scorre e il canto degli uccelli notturni si dissolve in quello di uccelli che si risvegliano all’alba del nuovo giorno. I primi timidi raggi di luce che rischiarano l’orizzonte, restituiscono trasparenza alle vetrate del Santuario, e i canti del cuore in adorazione silenziosa si sciolgono anch’essi nei canti corali dei salmi. Parola viva, che pregata cerca di diventare vita vissuta. In attesa del suono della campana che richiama la preghiera comune, lo sguardo si posa a terra; il corpo sente il contatto con un suolo benedetto da un tocco di delicata perfezione mariana e di profondo dolore innamorato. Un amore che ha radici in ciò che supera la natura e offrendosi, la sublima ancora, confluendo nell’Amore infinito ed eterno che genera. Tutto questo ha un suo modo di trapassare, di attraversare le membra tese nella ricerca, contratte dalle preoccupazioni, a volte dalla malattia. Tra ringraziamenti e suppliche, la ricerca continua interiormente mentre il cielo sfiora, sussurra, avvolge l’umanità che lamenta ferite, desidera gioia, si ripiega, si rialza, attraversa paludi e perde in esse parte di sé, scala montagne e conquista vette. Lamenti, sospiri, desideri ma cos’è questa vita meravigliosa e terribile, cosa può diventare senza percepire amore? Si alternano ore di preghiera e di silenzio negli atri del Santuario. Un canto di voci umane, poi silenzio di voci umane che cedono il passo alle armonie della natura, che sottili attraversano fessure di porte e finestre, per circondare di gratitudine il luogo abitato dalla Presenza. La natura inconsapevole sempre protesa a questa sintonia, la natura umana consapevole, se ne distanzia. Che dramma sul palcoscenico della vita. Il sipario si apre; ecco, la vita vuole essere vissuta fino in fondo. Quale sarà la nostra parte? Non sarà finzione, non sarà interpretazione di qualcosa che non ci appartiene, ma qualcosa che ci è stato dato e chiede liberazione, espressione, condivisione. Sul palcoscenico si posano luci artificiali, ma anche la luce degli occhi di chi aspetta con speranza, forse curiosità, forse l’ultima possibilità per capire che c’è un significato oltre il visibile, oltre ciò che la nostra ragione spesso affaticata, riesce a comprendere. Che responsabilità andare oltre, eppure è ciò che ci è richiesto. “Un amore che ha radici in ciò che supera la natura e offrendosi, la sublima ancora, confluendo nell’Amore infinito ed eterno che genera”. Lo sguardo dal pavimento si alza lungo le arcate, una semplice imponenza lo distende: i sensi del cuore percepiscono che quel tempio sacro è simbolo di uno spazio personale di incontro con Dio che si china “dal luogo della sua dimora, dal cielo” verso il popolo che accorre nel santuario con la realtà della sua storia sofferta. (Cfr G.Ravasi, Porte aperte tra il tempio e la piazza – Osservatore Romano 17/01/2011) Il tempio per servire Dio, che è il Luogo di ogni luogo, / eppure questo Luogo non ha luogo. (Ritornello ebraico). 

È la mattina di un giorno di festa. Fervono i preparativi: tutto deve comunicare nella sua semplicità, questo vento orientale che dall’umile dimora dove nacque Maria, si è diffuso senza confini. 

Una festa liturgica che richiama proprio la preparazione di una dimora speciale. Dio Padre ha preparato una dimora per suo Figlio, così come ha fatto Maria, crescendo e accogliendo la Parola, e poi accogliendo il Verbo. Cosa dobbiamo preparare noi in questo giorno. La convocazione è speciale; tra poche ore, i fedeli radunati nel Santuario ascolteranno le parole del Vescovo. “Fratelli carissimi, siamo riuniti qui nella gioia per dedicare a Dio questo nuovo altare con la celebrazione del sacrificio del Signore accostiamoci a Cristo, pietra viva, per crescere in lui come tempio santo”. Il centro di una nuova dimora consacrata al Signore. Pensando a quella formula, dalle ampie arcate, lo sguardo si posa sull’altare, la pietra che diventa luogo della manifestazione del Signore, di incontro tra terra e cielo. Luogo in cui si riapre la porta del cielo. Chissà chi e con quale motivazione avrebbe partecipato a ciò che è ben più di un rito. Maria è stata Porta del cielo e con questo carattere è titolare del Monastero nato come prolungamento del Santuario. È questo che vuoi, Signore? La conferma in noi di porte da aprire perché ognuno sia casa di Dio per scelta consapevole? Pietra al centro, il nostro altare; come il cuore. Di ognuna di noi, della comunità, dell’assemblea. Pietra che respira e da respiro. La pietra più sacra, attraverso cui Dio viene verso di noi e noi andiamo a Lui. I pensieri si rincorrono, mentre il sole è già alto: le immagini delle vetrate ben delineate da forme e colori, si riflettono sulle pareti, come un abbraccio della natura e dell’arte umana che crea novità. L’aspersorio è pronto, così come l’incenso e l’olio per ungere la nuova pietra. Le cinque croci rosse, incise sull’altare, una in ogni angolo e una al centro, richiamano alla memoria il riscatto delle quattro parti del mondo, operato da Cristo e la redenzione da Lui compiuta al centro di questo mondo, Gerusalemme (Durando di Mende). E allora, ecco, questo tempio non accoglierà più stranieri, né ospiti, ma familiari di Dio, che il cuore riconosce tali. Tutti, con i loro disordini, chiamati ad appoggiarsi sulla pietra d’angolo, Cristo Gesù, a crescere ben ordinati e diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito Santo (Cfr Ef 2,19-22). Il portale è aperto, ci siamo: il sole illumina il viale che taglia i campi nuovi, dissodati e coltivabili, terre di pascolo, di vegetazione spontanea di ogni specie. Il Santuario, come un piccolo monte, accoglie luce sulla facciata adesso pienamente visibile nel suo stile neoclassico: tra il viale e il santuario, non più solo fessure resta aperta la porta del cielo, che non pone ostacolo al respiro, impedimento allo sguardo, barriere al suono di una natura che celebra la vita, ad un uomo che cerca la Vita.

Sr M. Daniela del Buon Pastore, O.Carm.

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