Sbocciano fiori carmelitani ovunque: corolle che si aprono alla luce per vedere e offrire colori alla vita di tutti. Porte che si aprono al Mistero di Cristo da esplorare con fede, speranza e carità.
Sono una giovane carmelitana e sono anche una capo scout: eh si, queste due parti di me, che all’inizio vivevo “separatamente”, si sono messe in dialogo tra di loro e mi hanno svelato quanto l’una illumini i tratti dell’altra. Sono due dimensioni che comunicando tra loro, parlano di me come persona: desidero quindi condividere come questo abbraccio interiore tra scoutismo e spiritualità carmelitana, liberi la mia identità più vera attraverso esperienze e valori comuni alle due realtà. Certo, si tratta di un abbraccio tra un movimento educativo e un ordine religioso con una tradizione di secoli, ma esplorare i caratteri di continuità e di dialogo tra diverse realtà è sempre interessante per maturare una visione più ampia della vita.
Lo scoutismo nasce nei primi anni del Novecento dal cuore di Baden Powell, un generale inglese che ha creato un metodo di educazione per i giovani, offrendo loro la possibilità di stringere amicizia e vivere esperienze formative divertendosi.
Un primo aspetto interessante, che spesso trascuriamo, è che non “facciamo” gli scout, ma siamo scout: ciò che impariamo, viviamo e rendiamo azione, è assunto come stile di vita, soprattutto negli ambienti al di fuori della realtà associativa. Allo stesso modo, io non “pratico” la spiritualità carmelitana, quasi fosse un insieme di nozioni che attirano attenzione e gusto, ma piuttosto, mi riconosco carmelitana confrontandomi con questa esperienza carismatica secolare. Io sono carmelitana. All’inizio di ogni percorso di esplorazione e scoperta, c’è un qualcosa che attrae e squarcia il desiderio di approfondire la conoscenza di quel mondo “inedito”, delle persone che ne fanno parte e del loro modo di essere. Poi si passa ad una fase in cui ci si sente chiamati ad “entrare” nei pensieri fondanti quella esperienza di vita e nel momento in cui si aderisce ai valori riconosciuti e apprezzati decidendo di farli propri, si intraprende il passaggio fondamentale: quel modo d’essere e di fare penetra in noi a tal punto da divenire chiave di lettura di noi stessi, del modo di vivere corrispondente al disegno di Dio per noi. È un qualcosa che nasce da dentro, lì dove la grazia battesimale aveva lasciato il seme: si risveglia, comincia a crescere e pervade ogni aspetto della persona: si delinea come vocazione. Essere scout ed essere carmelitano è una vocazione, e l’una non esclude l’altra.
Nel momento in cui un bambino, ragazzo o adulto, decide di intraprendere il percorso scout, la prima cosa che gli viene chiesta è la promessa: “Con l’aiuto di Dio, prometto sul mio onore di fare del mio meglio per compiere il mio dovere verso Dio e verso gli altri, di aiutare gli altri in ogni circostanza e di osservare la legge scout”. È una promessa che viene fatta con il cuore e con la testa, fatta davanti a Dio e agli altri scout. È un momento importante che ciascuno ricorderà per sempre, carico di emozioni e profonda intimità tra il capo e il ragazzo. Prima di promettere, vengono rivolte all’aspirante due domande:
“Cosa chiedi?” e si risponde: “Di essere uno scout”!
“Per quanto tempo?” “Se Dio lo vorrà per sempre”.
La prima domanda riprende la riflessione esposta precedentemente sull’essere scout. Ancora più importante è la seconda domanda dove si evidenza che quella promessa, in quella notte, vale per sempre; per questo è fatta davanti a Dio e davanti agli altri, perché tutti possano essere presenti all’impegno preso; quindi, consapevoli testimoni della persona che vuoi diventare, anche nel caso in cui, per diversi motivi, la persona stessa decidesse di non voler più partecipare alle attività.
Nella promessa viene chiesto di osservare la legge scout, ma di cosa si tratta? La legge scout è costituita da dieci punti che tutti gli scout del mondo si impegnano a rispettare. È sempre espressa in chiave positiva (lo scout è, lo scout fa) perché deve essere uno sprone per la persona e definire un modello da seguire. La legge scout richiama in me l’esperienza di lettura e meditazione della regola carmelitana, intrapresa in seguito al mio impegno con gli scout. Come ogni carisma che si riconosce proprio, quello carmelitano illumina chi lo ha in sé come dono: illumina svelando l’essere e dando forma al fare, accompagnando la persona a percorrere la strada più adatta per essere la migliore versione di sé.
I Carmelitani vivono nell’ossequio di Gesù Cristo e si impegnano a ricercare il volto di Dio, nella fraternità e nel servizio in mezzo al popolo, e lo fanno pubblicamente con una formula che li impegna davanti a Dio e al popolo che Egli convoca; scelgono di dedicare la propria vita a migliorare sempre più la loro persona ad immagine di Gesù. È il cammino di tutti i battezzati, che per il carmelitano assume sfumature legate alla missione specifica di testimoniare come la preghiera, facendosi vita, sostiene il cammino di recupero della somiglianza con Dio. La preghiera da’ forma alla fraternità, al lavoro, a tutti i momenti della giornata ed è un “vivere d’amore”, come scriveva S. Teresa di Gesù Bambino: “Chi vuole amarmi osservi la mia parola fedelmente, ed io e il Padre mio verremo a visitarlo: prenderemo dimora nel suo cuore, ne faremo la nostra reggia, il nostro vivente soggiorno, perché vogliamo ch’egli resti nel nostro amore (Cfr Gv 14,23: 15,9)…Vivere d’amore è custodirti Verbo increato!…Vivere d’amore, quaggiù, è un darsi smisurato, senza chieder salario; senza far conti io mi do, sicura come sono che quando s’ama non si fanno calcoli. Io ho dato tutto al Cuore divino che trabocca di tenerezza… Vivere d’amore è un navigare incessante, seminando nei cuori la gioia e la pace…[1]” Dunque un’ulteriore similitudine con lo scoutismo è questa: la persona lavora continuamente ad essere un esempio per gli altri, un buon cittadino ed un buon cristiano, anche con l’aiuto dei fratelli e della propria comunità. Per cui entrambe i cammini richiedono l’assunzione di un impegno, per mezzo della promessa o della consacrazione: e tale impegno è per sempre, un atto di fedeltà a ciò in cui si crede. Al centro c’è la persona che seguendo Dio e operando per mezzo di lui, farà in modo di lasciare il mondo migliore di come lo ha trovato, come direbbe Baden Powell. La sensibilità carmelitana conduce a guardare le cose “da dentro”: è una spiritualità che all’interno della Chiesa Dio ha posto per essere risonanza della bellezza di un dialogo familiare e intimo con Dio, fino alla contemplazione del suo amore per noi attraverso ogni piccola cosa che lo manifesta: una vita semplice, di preghiera che non è dissociata dalla vita quotidiana, ma la trasforma costantemente come atto di ricerca, fedeltà, incontro. Il carisma, dono dello Spirito Santo, suggerisce dinamicamente come fare…
Alla fine del percorso scout, i ragazzi prendono una decisione che implica accettazione di 3 scelte:
- la scelta di fede, nella quale si conferma il proprio credo e si decide di voler vivere una vita all’insegna di Gesù ed essere un buon cristiano
- la scelta politica, in cui operare per il bene comune, nella società di oggi ed essere un buon cittadino.
- la scelta di servizio, nella quale si fa della propria vita un servizio per il prossimo, nell’associazione o al di fuori.
Il Carmelitano non è mai solo e non agisce solo, come pure lo scout. Si mette a servizio offrendo le proprie competenze.
Fin da ragazzi, ci viene insegnato che il servizio si fa non dove si vuole ma dove è necessario, ovvero, dove Dio chiama per portare la sua consolazione. Quando si è ancora giovani, non è facile comprendere questo pensiero perché si vorrebbe fare ciò che piace e fa stare bene, non immaginando che è proprio dove non vuoi andare che scoprì qualcosa di sorprendentemente bello e… tuo. È proprio in quel servizio inaspettato che si vive la donazione di sé nel modo più generoso ed efficace: con tutto l’amore di cui siamo capaci. Negli anni ho visto tanti frati e suore carmelitani passare nella mia parrocchia di Torre Spaccata a Roma, intitolata a Maria Regina mundi: mi chiedevo perché non potessero restare stabilmente e la risposta era sempre “perché sono chiamato/a altrove, dove hanno più bisogno di me o dove io ho più bisogno di incontrare Dio per conoscerlo più profondamente”. Dio ha sempre un progetto per noi, anche se adesso non è chiaro. Questa frase mi ha accompagnato e ispirato per anni e continua a farlo tutt’oggi, perché credo fermamente che quello che riesco a realizzare, è parte di un progetto di Dio per me e le esperienze nuove che vi si affacciano per essere vissute con fede e umiltà, non faranno che arricchirmi.
Ci sarebbe tanto ancora da dire: lasciamo questa porta aperta… alla prossima!
Chiara Policheni, anim. Carm.
[1] S. Teresa di Gesù B., Gli scritti di S. Teresa di Gesù Bambino. Vivere d’amore, Ed OCD, Roma 2014, 997-998