UMILE ED ALTA PIU’ CHE CREATURA

 

La consolazione di qualcosa che giunge a compimento. Dono che diventa intuizione. Intuizione che diventa ricerca. Un’avventura umana e spirituale.

L’uomo si sente incompiuto, bisognoso di trovare lo spazio vitale, l’ambiente da cui trarre nutrimento, la città in cui abitare stabilmente. Sono molte le opere letterarie classiche che si rifanno alla metafora del viaggio: dall’Odissea, all’Eneide, alla Divina Commedia. L’esodo biblico verso una città “ove abitare”, del Paradiso, o come “ritorno a casa”. L’impulso a mettersi per strada è un impulso interiore di ricerca, di conversione, di scoperta, di conquista. (Cfr Carlo Cicconetti, Simboli carmelitani, 71)

C’è un sottile Mistero che unisce la vita di ogni essere umano ad una realtà trascendente che, in un gioco paradossale, eleva tanto più in alto quanto più prossima a noi diventa la sua vicinanza.

È l’esperienza che da sempre contraddistingue i mistici, gli uomini e le donne di preghiera, i santi e le sante di tutti i tempi. È l’intuizione profonda che fin dal suo sorgere, caratterizza il carisma carmelitano in cui, quanto più si procede nella scalata del Monte, tanto più ci si riscopre piccole creature guardate e visitate dalla misericordia di Dio. Non è un caso che i carmelitani prendano come punto di riferimento Elia e Maria.

Il primo combatte l’inganno dell’idolatria sul Monte Carmelo, ma dovrà poi rimodulare il suo zelo attraverso un cammino di purificazione e di conversione che lo porterà a riconoscere il Volto del Dio Vero non nel fuoco o nel terremoto, ma nella “voce di un sottile silenzio”, in una presenza delicata e discreta, eppure fortemente reale e presente nella sua vita.

Maria, invece, da sempre è venerata nel Carmelo non solo come Madre, ma anche come Sorella, cioè come colei che cammina accanto a noi, non solo “davanti”. È colei che conosce la bellezza e la fatica del vivere, la gioia e il dolore della vita.

Dante definisce la Madre di Dio “Figlia del Figlio”, ossia: la piccola donna di Nazareth ha la libertà e l’umiltà di mettersi alla scuola di Colui che da lei è stato generato. È colei che ci insegna come essere fecondi nella nostra genitorialità e come diventare bambini bisognosi di essere guidati dalla mano di Dio, il solo che ci può condurre alla piena maturità umana e spirituale. Probabilmente proprio qui sta il punto di incontro che fa dire a Dante “umile ed alta più che creatura” e che i carmelitani hanno da sempre vissuto nella consapevolezza che quanto più si fa esperienza di Dio nella propria vita, tanto più le virtù e i doni che ci troviamo nelle nostre mani, vengono riconosciuti come elargiti da Dio e a noi possiamo solo attribuire la libertà di trafficare o meno quei talenti. È questo cammino di piccolezza che ci permette di scalare la montagna nella consapevolezza che l’umiltà non è negazione di sé, ma stupore immenso per la grandezza che il buon Dio pone nella nostra piccola vita.

Maria nel Carmelo non è esattamente una creatura a statuto speciale e irraggiungibile. Lei è la Donna che ci può indicare il cammino perché in lei si è reso vero quello che è chiamato ad essere vero anche per noi. Tutti siamo chiamati ad essere “Vergine e Madre” in un percorso che sorpassa la fisicità e le scelte di vita e che si traduce in un “diventare vergini” contemplando il Mistero di Dio nella nostra e nell’altrui vita. Questo comporta rivedere le relazioni proprio a partire da questa alterità che è l’altro e che siamo anche noi. La verginità da vivere è quella di una relazionalità non improntata sull’accaparramento dell’altro o sull’assolutizzazione di noi stessi, ma nel rispetto profondo di quell’impronta trinitaria che ognuno porta nel cielo della propria anima. Leggere in questo senso il passo della Regola carmelitana “nessuno dica che qualcosa sia di sua proprietà” significa comprendere che essa non si riferisce solo alla parte materiale, ma che deve animare anche la nostra parte umana e spirituale: nessuno dica che qualcuno sia di sua proprietà.

La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fïate liberamente al dimandar precorre” scrive Dante ed è questo che i carmelitani vivono alla scuola di Maria e sul suo esempio sono chiamati ad avere un occhio attento sulla storia, a comprendere ciò che manca, ciò che non rende felici, come lei fa a Cana. In qualche modo si tratta di “anticipare” il bisogno dell’altro attraverso una “Maternità divenuta Vergine”.

Vivere la scalata al Monte Carmelo in compagnia di Maria e del profeta Elia, significa vivere un’esperienza incarnata in cui le nostre fragilità diventano feritoie di comunione con gli altri e con Dio; significa scoprire “quantunque in creatura è di bontate” cioè la bellezza che abita dentro ognuno di noi ma, soprattutto, significa rimanere senza parole davanti ad un Dio che non ti obbliga a procedere al suo ritmo, ma che ti rimane accanto imparando a procedere a tuo passo.

Sr M. Eleonora dell’Amore Infinito, Sogliano (FC)

 

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